Neuroscienze e didattica: interazione possibile?
Riflessione datata forse, quella che cerca la connessione tra le Neuroscienze ed i Metodi Didattici, ma in ogni caso ancora troppo poco “battuta” e accreditata; ai nostri fini nessuno meglio di Rita Levi Montalcini può spiegarci il complesso funzionamento neuronale, pertanto dai lei prendiamo spunto per avviare questa riflessione.
“Oggi sappiamo che ciascuna area del cervello è composta da complessi reti di neuroni e fasci nervosi che collegano diverse aree tra di loro. Quando uno stimolo sensoriale viene avvertito attraverso uno dei cinque sensi esso raggiunge direttamente il talamo, una struttura presente al di sotto della corteccia cerebrale. Il talamo opera come una sorta di centralino del cervello e il suo compito è indirizzare i segnali ricevuti verso i diversi lobi cerebrali deputati alla loro corretta percezione e interpretazione. I diversi lobi però, pur svolgendo operazioni molto specifiche (per esempio, processare informazioni visive, sviluppare o articolare un linguaggio, svolgere operazioni in memoria, ragionare ecc.) lavorano sempre assieme e in modo coordinato. Ciascun lobo interagisce strettamente con gli altri. Non funziona mai come un organo del tutto autonomo, ma opera sempre come elemento di una unità interconnessa e interdipendente” (Levi-Montalcini, 2009).
Semplificando (ed utilizzando terminologie “poco” scientifiche” che R.L. Montalcini ci perdonerà) si può dire che i sensi attivano i nostri lobi cerebrali (detti anche centri energetici), questi una volta attivati, si mettono in interazione tra loro favorendo le scariche adrenaliniche. A questo punto il nostro corpo ha bisogno di endorfine per riequilibrare lo stato emotivo e non produrre troppo stress nel nostro corpo; altre ricerche ci dicono che le endorfine producono calma, distacco emotivo dalle difficoltà (permettendo così di affrontarle) e stati d’animo positivi che portano apertura.
Ancora, ed arriviamo a noi: l’empatia produce e rilascia endorfine, noi sappiamo che l’empatia in un contesto didattico-formativo si produce con l’utilizzo di metodologie attive, ma soprattutto, permettendo al partecipante di fare esperienza DELLA e NELLA realtà, ovvero con didattiche esperienziali. Quest’ultimo elemento (fare esperienzialità: ovvero sperimentare qualcosa che non è reale in vista della cosiddetta realtà) richiede necessariamente l’utilizzo dei nostri CINQUE sensi, i quali come abbiamo detto prima, attivano i centri energetici (lobi cerebrali) che, se gestiti correttamente ed in modo equilibrato, danno vita a connessioni e apprendimento, il quale a sua volta porta apertura e confronto.
Se queste riflessioni trovassero fondamento empirico la nostra didattica esperienziale non solo sarebbe caratterizzata dal suo essere “innovativa”, ove i partecipanti vengono coinvolti e quindi sono maggiormente predisposti al confronto e all’apertura, ma verrebbe innalzata a “metodologia formativa” capace di attivare i centri energetici che adeguatamente ri-equilibrati (grazie alla capacità empatica del formatore), portano lo stato d’animo (positivo) idoneo a sedimentare l’apprendimento (e quindi conoscenza); la conoscenza permette al soggetto di confrontarsi e sostenere le tesi (proprie ed altrui), il confronto –a sua volta- porta la produzione di nuove idee.
A questo punto potremmo essere nella condizioni di ipotizzare la seguente proporzione:
empatia : didattiche attive = esperienzialità : produzione di nuove idee
Da qui la riflessione porta a guardare i contesti formativi “esperienziali” come spazi di lavoro in grado di produrre confronti e nuove idee (proprio perché la calma e la positività abbassa le difese e produce apertura).
Interessante a tal proposito questo articolo, risalente al 2014 ma attuale nel suo contenuto:
Buona lettura ma soprattutto buone riflessioni!
Daniela Bandera
23 Settembre 2015 (23:28)
La formazione e le neuroscienze devono andare a “bracccetto” . La conoscenza del funzionamento del cervello, delle modalità con cui immagazzina le informazioni, le memorizza e le rielabora, è uno dei “fondamentali” del buon formatore. Le neuroscienze non solo ci inducono a rivedere le “credenze consolidate” sulla managerialità ma anche come formatori, i metodi didattici, le modalità di gestire la relazione con i corsisti. Una bella sfida che si deve cogliere se si vuole intervenire nei cambiamenti epocali che ci circondano e gestirli, finalizzandoli.