SMART LEADERSHIP: un modello per imprese Smart
Pensiamo a cosa evoca in noi il vocabolo leadership. Pensieri, immagini e concetti, ma tutti declinati al maschile. Il condottiero, l’executive, il capitano di una nave, il direttore d’orchestra, la persona sola al comando. Ma quanti di questi volti sono femminili. Ci sarà bene un motivo.
Riusciremo mai a scardinare queste spontanee associazioni mentali oppure sono talmente radicate dentro di noi, uomini e donne da rendere impossibile oggi il superamento? A mio parere, dopo avere tentato per molti anni di andare oltre questa visione “sessuata” del potere ed averne rintracciato le radici profonde nel nostro essere donne e uomini e nella “sessualizzazione” delle relazioni e della dotazione di senso, penso che non ci sarà data la possibilità di vederle cambiare, nel breve spazio della nostra vita.
Per questo vorrei spostare la riflessione sulle pre-condizioni che possono permettere una leadership paritaria, piuttosto che discutere di come uomini e donne agiscono la leadership nelle organizzazioni. Credo infatti che dobbiamo interrogarci sulla natura dell’organizzazione che partorisce la leadership essendo appunto la leadership (maschile e femminile) un portato dell’organizzazione in cui si esercita: una variabile dipendente da fattori interni ed esterni all’organizzazione.
La domanda che mi pongo e che sta alla base delle riflessioni è se l’organizzazione nel suo complesso, con la sua dimensione strutturale e relazionale, può permettere una leadership diversa da quella con chiara impronta maschile che oggi vediamo all’opera, che rimane tale (nella sua dotazione di senso e sostanza) anche quando la “leadership” è esercitata da una donna. (Cfr. J. Wajcman, J. Klein, ) Per avere più donne nei ruoli apicali e, in ultima istanza leader, dobbiamo cambiare l’organizzazione, solo una organizzazione radicalmente diversa da quelle che oggi conosciamo, potrà produrre le condizioni per l’esercizio di una leadership paritaria, in grado cioè di cogliere il valore delle diversità (di genere, cultuale ecc.) e in questo modo portare valore all’organizzazione.
STARTING POINT
Il concetto di leadership è vecchio, legato ad archetipi lontani nel tempo: il condottiero simbolicamente elevato al rango di leader nelle nostre società “moderne”, che svolge la funzione (o il ruolo organizzativo) di condurre le “masse” con la forza, la manipolazione e la persuasione per indirizzarne l’energia verso i fini (più o meno) condivisi ma implicitamente ritenuti/percepiti come collettivi.
La gestione della leadership è intimamente connessa a ciò che il leader “E’” più che a ciò che il leader “FA” anche se spesso parlando di leadership ci soffermiamo sulle azioni compiute, sui comportamenti agiti, più che sul senso dato dall’”agente” alla propria attività.
Ne discende che ad un leader (a colui che gestisce attraverso il proprio stile di leadership una posizione apicale) o ad un candidato leader, dovremmo chiedere la consapevolezza matura del proprio mondo interno, la piena consapevolezza delle dinamiche oscure che regolano i suoi comportamenti e che l’hanno spinto/spinta alla ricerca di quella luce che dà il potere (Kets de Vries e Freeman). Questo non avviene.
L’ambivalenza ci porta quindi a chiedere ai leaders di essere funzionali all’organizzazione ma implicitamente ad aspettarci da loro comportamenti e attitudini modellati sugli archetipi che attualmente, OLTRE CHE ESSERE APPIATTITI SUL MODELLO MASCHILE (L’EROE), non sono più a mio parere funzionali alle organizzazioni e ai sistemi organizzativi che devono vivere in situazioni altamente complesse, veloci nel cambiamento (Cfr. T.J. Galpin).
LA SMART LEADERSHIP: E’ COLLETTIVA E INTELLIGENTE
Oggi il potere si basa sulle asimmetrie: Il leader è colui è colui che può influenzare gli altri più di quanto il gruppo possa influenzare lui stesso.
Chi gestisce il potere si trova al centro di forze prorompenti: da un lato le aspettative dei suoi gregari, dall’altro lato l’impatto ridondante delle sue azioni, (la mole di informazioni, la visibilità della posizione occupata), questo lo spinge a ritenere più importante rispondere alle aspettative dei suoi gregari (risposta funzionale/estetica) per garantirsene la fedeltà e l’integrazione del gruppo di quanto non sia prendere la decisione giusta (etica) (F. R. Kets De Vries).
Se oggi è così, interroghiamoci di quale forma di potere hanno bisogno le organizzazioni che operano in sistemi complessi, instabili e in veloce cambiamento?
Oggi le organizzazioni hanno bisogno di mobilitare non solo le “braccia” dei propri membri (collaboratori, cittadini ecc.) ma di mobilitare le “intelligenze”. Per gestire la complessità si devono mutare radicalmente le relazioni di potere, oggi incentrate sulle gerarchie, domani sui gruppi, oggi sul comando, domani sulla condivisione, oggi sulla forza, domani sulla piena responsabilità di ognuno.
Il potere deve essere infatti maggiormente condiviso, partendo dall’accesso alle informazioni (trasparenza) per giungere alla strutturazione di meccanismi decisionali collettivi che possano individuare le responsabilità individuali all’interno di un processo decisionale in cui il “collettivo” ha una funzione preponderante.
Superare quindi l’archetipo che sta alla base delle forme di potere attuale (la forza, fisica o psicologica) è il primo passaggio verso una organizzazione più adulta che esplora modalità di gestione della leadership totalmente diverse da quelle sin qui utilizzate.
Ma a favore di cosa?
A favore di una organizzazione “adulta” che poggi su solide basi di potere organizzativo diffuso nell’organizzazione, che crea le condizioni per lavorare insieme (processi più che relazioni gerarchiche) capace di mobilitare le energie e le intelligenze di coloro che di volta in volta sono “utili” a risolvere i problemi più o meno grandi dell’organizzazione (meritocrazia finalizzata), aperto verso l’esterno (costituisca il radar di quanto avviene fuori dall’organizzazione), problem solver (capace di entrare nel merito dei contenuti), equilibratore del sistema organizzativo all’interno di un sistema più grande che lo ingloba (Glocal).
Quali soggetti potrà attirare una forma di potere così? Quelli che per dirla come Kets De Vries, sono “….sicuri di sé che sanno interrogarsi” e che quindi costituiscono un reale beneficio e valore per l’organizzazione, che sanno opporre al “potere di posizione” il “potere di relazione” e sanno creare un ambiente favorevole al cambiamento e prendere decisioni “buone”.
LA LEADERSHIP PER UNA ORGANIZZAZIONE ADULTA
Dal punto di vista organizzativo un potere strutturato nel modo descritto ha la necessità di una leadership collettiva che si basi sui seguenti principi:
• Diffusa: a forte rotazione delle componenti della leadership collettiva e diffusa in tutta la struttura organizzativa, non concentrata al vertice.
• Lean: nel senso positivo del termine, che sia in grado di “liberare” e ottimizzare le risorse interne all’organizzazione e sappia gestire il “caos”.
• Condivisa: capace di visione, di rendere esplicito l’obiettivo comune,
• Collettiva: integra le diversità rendendo compatibili i bisogni del NOI con quelli dell’IO
• Aperta: proiettata all’esterno, interfaccia intelligente in grado di decodificare le opportunità che il cambiamento crea
• Dotata di meccanismi istituzionali ad assetto variabile: una leadership che inglobi di volta in volta le competenze e le conoscenze utili a gestire le problematiche che il contesto genera, con una forte rotazione quindi dei componenti del gruppo apicale
Mentre il gruppo che giuda e che crea con il suo comportamento l’ “intelligenza collettiva” di cui le organizzazioni hanno bisogno per sopravvivere in tempi incerti, deve essere caratterizzato da (T. J. Galpin):
• Creatività
• Orientamento al team
• Ascolto
• Responsabilità
• Generatività
• Feed back e compensazione dei comportamenti virtuosi
C’E’ SPAZIO PER LE DONNE IN UNA ORGANIZZAZIONE “ADULTA”?
Io credo proprio di sì, c’è spazio perché molte delle caratteristiche del leaders team, valorizzano quelle componenti di genere senza cadere negli stereotipi pro o contro le donne, chiedendo alle donne un salto, pari a quello richiesto agli uomini per altre caratteristiche che li contraddistinguono in termini di “genere”.
Qual è il “bug” di questo nuovo modo di concepire la presenza del “genere” femminile (e non solo) nei ruoli apicali delle organizzazioni?
Ve lo anticipo: il fatto che i leader attuali (individualisti, concentrati su se stessi) uomini e donne che siano, dovrebbero agire per decretare la morte del modello che li ha messi lì e siccome nessuno taglia il ramo su cui è seduto, il cambiamento dovrà essere frutto di una negoziazione in cui le diversità e le alterità rispetto al modello attuale si coalizzano per cambiare l’organizzazione.
Partire dalla leadership, quindi dai ruoli apicali, senza cambiare l’assetto strutturale che li rende così, significa rassegnarci all’idea che il “diverso” dovrà essere protetto, perché i meccanismi sono tali per cui, il diverso che arriva alle posizioni apicali si omologa. Il potere ha una capacità di piegare anche le migliori volontà. Parlare di leadership perdendo di vista cosa la determina, significa In un certo qual modo sedersi sullo stesso ramo e condividere la convenienza che spinge a dire: “si sta così comodi su questo ramo che non vale la pena di cambiare l’albero”.
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